Essere Donna guerriera o solo Donna? Esiste una formula perfetta?

Pink it’s my new obsession,
Pink it’s not even a question,
Pink on the lips of your lover, cause
Pink is the love you discover…

Aerosmith

Viva il rosa!

Una donna guerriera può amare il rosa? Personalmente ho sempre detestato il rosa, l’idea del matrimonio, la festa di S. Valentino, la festa della Donna, i cuori e i cuoricini… Tutto finto, sdolcinato, zuccheroso, commerciale! Fino alla soglia dei miei 30 anni (ed è passato un bel po’ di tempo da quel dì), sono stata una che la sua parte femminile, abiti a parte, l’aveva proprio messa in un cantuccio, in un certo senso me la sono negata, se non per l’aspetto seduttivo. Insomma, per molto tempo sono stata sì, una donna con la gonna e pure dall’aria romantica (pur non amando il rosa), ma forte e determinata come una guerriera. Certamente non una da rose e fiori, cuori, cuoricini e balle varie.

Eppure, Pink degli Aerosmith è da sempre una delle mie canzoni preferite. Sarà perché è real rock ma, volendo guardare la canzone un po’ più in profondità, il motivo è un altro: Pink è un invito, attraverso la musica, ad annullare le differenze di genere, valorizzare la diversità e vivere la propria unicità attraverso creatività e fantasia (e qui viene fuori il mio lato ribelle!).

Ma, tornando a bomba sul colore rosa, chi l’ha deciso poi che tutto ciò che riguarda il mondo femminile deve essere rosa? È uno stereotipo. Punto. Così come lo sono le “robe” considerate “da donne” e quelle considerate “da uomini” che le donne non possono fare. Beh, tutto questo, incluse le ricorrenze, mi è sempre andato stretto…

Io donna guerriera, in lotta con la mia femminilità.

Da donna guerriera mi sono sempre raccontata che le ricorrenze non facevano per me, perché non ero in grado di concedermi a quella parte femminile, di accoglierla e accettarla: ero guerriera perché la vita mi aveva spinta a esserlo e le guerriere, si sa, non festeggiano mica S. Valentino! Però, in questi ultimi anni, dopo aver fatto finalmente pace con la mia parte femminile, riesco a godermi cuori, cuoricini, cioccolatini e mimose senza, per questo, sentirmi indifesa, debole e dipendente.

Accogliere il proprio lato femminile non significa essere vulnerabili

E vi dirò di più. Mi sono resa conto che, in fondo, a me le vetrine di S. Valentino piacciono, con tutte le loro esagerazioni: fiocchetti rossi, peluche morbidi con gli occhioni dolci, tazze con i fiori, frasi d’amore, ecc., ecc. Sono colorate, creative, tenere, traboccano di dolcezza come certe lettere d’amore, strabordanti di cioccolata, gratificano gli occhi di chi le guarda, il palato di chi acquista e il cuore di chi si permette di ascoltare. Sì, perché rispecchiano la parte più delicata dell’animo umano, il lato femminile. Proprio quello che io, da donna guerriera avevo, per così tanto tempo, allontanato temendo di sentirmi troppo vulnerabile.

Sotto sotto, chi non vorrebbe ricevere un segno d’amore il 14 febbraio (qualcuna di voi lo ha ricevuto?) e/o un segno di riconoscimento e legittimazione l’8 marzo? Dal proprio uomo (per chi ce l’ha) ma, perché no, anche da un collega, un’amica, un vicino di casa, un’esercente, da un altro umano che Ti Vede. E che diamine!

Donna guerriera vs donna tenera e dolce. Perché?

A volte però sembra di dover scegliere tra vivere quotidianamente come una super donna, la donna guerriera e un po’ maschile appunto, che non sbaglia un colpo e non deve chiedere mai (e alla fine della giornata è devastata dalla stanchezza) e la femmina, la donna sensibile, “dolcemente complicata”, che si concede ritmi suoi, stanchezze e lamenti vari (ma che troppe volte giudichiamo inadeguata).

Perché dobbiamo necessariamente scegliere? Non possiamo semplicemente accettare di non essere perfette e di essere come siamo? In fondo, ci sono “robe da uomini” che facciamo senza problemi (andiamo nello spazio, guidiamo il camion, il taxi e l’autobus, per esempio), ma ce ne sono altre che ci risparmiamo volentieri: abbiamo mai provato a sollevare una lavatrice e trasportarla per tre rampe di scale, oppure a scendere in una miniera per estrarre pietre dal cuore della montagna o, ancora, a spaccare strade con un martello pneumatico sotto il solleone? La pipì in piedi, vogliamo parlarne? Per carità, Non mi ci fate pensare!

La formula perfetta dell’essere donna esiste?

Abbiamo proprio bisogno di cercarla? Perché, anziché cercare questa formula perfetta dell’essere donna (che poi la perfezione non è di questo mondo), rivendicando libertà e diritti, non proviamo individualmente ad accettare come siamo? Potremmo anche scoprire che è questa la via della vera libertà. Apriamoci al cambiamento di noi stesse. Questa è già una piccola rivoluzione.

Per tutta la vita siamo state docili, passive e arrendevoli? Bene. Possiamo permetterci di arrabbiarci e poi provare a essere più dinamiche e assertive, oppure scegliere di tornare a essere docili, se questo ci fa stare meglio. Al contrario, affrontiamo la vita da donne guerriere e ogni giorno è come se salissimo su un ring? Togliamo i guantoni e iscriviamoci a un corso di Yoga, di danza o di Burlesque! Ci sentiamo bambine fragili e spaventate? Impariamo a chiedere aiuto e a concederci coccole e piccole gratificazioni quotidiane.

Ciascuna donna è unica e perfetta così com’è.

Permettiamoci di essere come siamo e nessuno ci giudicherà. Il giudice più severo è sempre quello interiore, il giudizio degli altri non è che un nostro puntuale riflesso. Impariamo ad accogliere momento dopo momento ciò che siamo e sentiamo. Ci daremo così il permesso di vivere la vita in modo più sereno e aperto, di sperimentare, conoscere, aprirci alla conoscenza del nostro Sè più profondo, unico, libero e creativo.

Meglio essere donna guerriera solo donna? Meglio essere se stesse!

Non esiste una formula, una regola, ognuna di noi è unica e irripetibile nel suo genere. Eppure, ci sono strumenti che possono rivelarsi molto utili per uscire da uno schema fisso che ci domina e ci contraddistingue.

Per me lo schema era la madre guerriera. No, non sono io la madre, io non ho figli, mi riferisco alla mia Matrix, la Matrice, mia madre e mia nonna e la madre di sua madre, sua nonna. Per almeno tre generazioni, a memoria, le donne della mia famiglia hanno dovuto cavarsela da sole, potendosi appoggiare poco o nulla sul maschile esterno a loro: di mezzo c’erano due guerre e non è poco.

Il maschile aveva altro a cui pensare e anche la generazione successiva di uomini, quella di mio padre, è stata condizionata dalle esperienze: lavorava con l’idea di dover sopravvivere e far sopravvivere la propria famiglia a qualcosa o qualcuno, lavorando con sangue e sudore, quelli che servivano in guerra. Le donne erano sole a combattere la loro, di guerra, con una femminilità, una fragilità che le aveva fatte sentire così abbandonate, scomode e vulnerabili, attaccabili, vincibili.

Immagino che la rabbia di tutte queste donne, che si sono sentite così sole, abbia giocato parecchio come mia emozione ereditata, alimentata in seguito da vicende personali.

Noi e la legge di Murphy… Profezia autoavverante?

Per la legge di Murphy, il pane cade sempre dalla parte della marmellata! Ma è davvero così?

Mi spiego meglio. Se tutte le mattine sei convinta che combatterai una guerra e ti infili i guantoni della donna guerriera, la guerra troverai. Questo naturalmente vale per tutti. Ho dovuto fare i conti con la mia rabbia, io che credevo di non essere mai stata arrabbiata! Ho dovuto fare i conti con la rabbia e il bisogno di controllo: chi ha imparato fin da piccolo a fare tutto da solo è arrabbiato, perché si sente costantemente a rischio e vuole controllare il perimetro sempre, come un soldato in guerra, perché ha paura che gli altri lo attacchino e di non farcela.

Chi segue il blog già da un po’ sa che ci sono molti modi per non affrontare da soli le proprie tematiche. È vero che esistono percorsi di crescita personale che ci aiutano a “renderci le cose più facili”, ma oggi vi dico che si può cominciare a farlo anche da soli. Come?

Ascoltiamo il nostro Corpo!

Per quanto mi riguarda il segreto quotidiano è ascoltarmi, ascoltarmi e ancora ascoltarmi. Più volte al giorno monitoriamoci, facciamo un check di come ci sentiamo; all’inizio si fa una gran fatica, eccome se lo so!

Il corpo ci parla: come sta, come ci sentiamo nella pancia e nel cuore? Quando ci accorgiamo che qualcosa non torna, quando sentiamo il campanello d’allarme che si chiama emozione scomoda, per esempio rabbia, tristezza, inquietudine, paura ecc., allora ci fermiamo.

Le emozioni accolte si trasformano

Semplicemente ci fermiamo ad ascoltare, a respirare, uno, due, tre respiri profondi, sentiamo cosa accade, se l’emozione cambia o se ci tocca rimanere lì con noi stesse, con quell’emozione scomoda che prima ci soffoca e poi, se la ascoltiamo, ci fa venire da piangere e allora, magari, ci concediamo anche di piangere! Che dopo un bel pianto si sta meglio (suggerisco in bagno, se siete al lavoro). Allora andiamo oltre, l’emozione si trasforma e ci sentiamo meglio.

Ndr: in molte persone le emozioni represse, trattenute, possono essere causa di disturbi psicosomatici a carico dell’apparato gastrointestinale, quali la sindrome dell’intestino irritabile. Caratteristica comune delle persone che soffrono di colon irritabile è la rabbia repressa, un’aggressività non sfogata che viene rivolta contro se stessi. Spesso, nel vissuto di chi manifesta questa sindrome, si rilevano imposizioni o costrizioni che hanno soffocato ogni tentativo di realizzazione personale.

E se provassimo a non indossare i guantoni?

Proviamo a farlo per un giorno! Domani per esempio.

PRIMA FASE – Ascolto

Scendiamo dal letto senza corazzarci, ovvero senza scivolare silenziosamente nella testa e nei pensieri, perché immediatamente irrigidiscono la nostra muscolatura, collo, spalle, braccia, schiena, gambe, creando una sorte di guscio ninja!

Di solito mettiamo giù i piedi dal letto senza essere veramente lì con i nostri piedi, ma pensando già a cosa dobbiamo fare un secondo dopo: lavarci, vestirci, truccarci, preparare la colazione, pulire i piatti rimasti, preparare qualcosa per la sera, pensare a come organizzare la giornata al lavoro, ecc., ecc.

Stiamo nella presenza e mettiamo da parte gli automatismi

Ecco, proviamo invece a mettere giù i piedi dal letto e ringraziarli perché ci sosterranno durante la giornata, poi concediamoci alcuni minuti per sentire: cosa stiamo sentendo? Siamo agitate, abbiamo paura? Come ce ne accorgiamo? Abbiamo la nausea? Un po’ di mal di pancia? Oppure avvertiamo un senso di preoccupazione? Dov’è nel corpo quella risonanza? Nel cuore che batte più forte? Ci fa già male la testa?…

Questo vuol dire iniziare la giornata senza infilarsi i guantoni da boxe, lasciandoli per il corso di kick boxing più tardi in palestra… L’obiettivo è di cominciare la giornata senza automatismo. Faremo lo stesso le cose che dobbiamo fare, ma quei pochi minuti che abbiamo riservato all’ascolto ci stupiranno perché, giorno dopo giorno, ci restituiranno la consapevolezza dei pesi di cui ci facciamo carico e di come sovraccarichiamo la nostra parte emotiva, la nostra parte femminile che, appena svegli, è e si sente indifesa.

SECONDA FASE – Accoglienza

Dopo aver fatto le nostre cose, magari durante il percorso che ci porterà dove dobbiamo andare, proviamo a riconoscere nuovamente qual è l’emozione che ci domina: ci sentiamo felici all’idea di affrontare la giornata? Proviamo gioia, contentezza, morbidezza? Oppure ci pesa da morire, ci sentiamo rigide e a dirla proprio tutta non avremmo voluto neppure scendere da quel letto, magari coprendoci la testa con il lenzuolo come da bambine per andare a scuola? Sentiamo Tristezza, Paura? Rabbia?…

Se questa seconda descrizione è quella che più ci risuona, allora passiamo alla terza fase.

TERZA FASE – Accettazione

Nuovamente lasciamo i guantoni da guerriera in borsa. Cosa significa? È stare scomodamente con quella particolare emozione, astenendoci dai giudizi e dalle critiche tipo “dai su, scuotiti, così non va bene, perché ti senti così, non hai motivo!”. E via dicendo. Limitiamoci a osservare come uno spettatore imparziale.

QUARTA FASE – Consapevolezza

Ci accorgeremo che non è facile. Perché c’è qualcosa dentro di noi che ci invita e ci spinge a combattere ed è la parte più delicata, vulnerabile e gentile di noi, quella femminile. Perché è già accaduto che abbiamo sofferto, più e più e ancora più volte. Ora abbiamo paura di soffrire come allora, siamo già state ferite, offese e attaccate quando non ce lo aspettavamo, ovvero eravamo vulnerabili. Ma possiamo riconoscere che Ora è adesso, non è più Allora, possiamo riscrivere il nostro copione e adesso che non siamo più piccole, possiamo scegliere per il nostro bene.

Così, senza essere pronte alla guerra, ci butteremo nella mischia come ogni giorno ma, ahimè, combattere senza guantoni potrebbe fare male!

QUINTA FASE – Retrocessione alla prima fase

La mattina dopo ci rimetteremo i guantoni da guerriera… Et voilà! Cominceremo a sentire che abbiamo poca voglia o per nulla di combattere, con o senza guantoni. Così, la mattina dopo ancora, forse ci renderemo conto che quei guantoni non fanno più per noi, ci stanno stretti, ci appesantiscono le braccia e l’anima e ci arrenderemo al fatto di non riuscire più a combattere.

A questo punto, ognuna di noi si potrebbe domandare: «Ma come ho fatto finora a farcela? E adesso come faccio che fuori è una guerra?»

Il miracolo accade: una donna senza l’armatura può finalmente essere se stessa.

Eccola lì! La nostra parte femminile più vera! Quella che vuole accogliere, non respingere, che vuole accettare, non confliggere, che desidera solo essere amata, non controllata dagli eventi quotidiani, dai ritmi imposti dagli altri e da pensieri ossessivi. La parte che se anche non si veste da donna, sente e sa di esserlo, si permette di esserlo.

Se sceglieremo di non combattere, mattina dopo mattina, un bel giorno, come in una favola, accadrà il miracolo e non saremo più in guerra con noi stesse e con gli altri, perché avremo scelto di non essere lì.

Attenzione, ci sarà sempre chi ci stimola a combattere, è una società così, vuole donne come uomini combattenti, è lo spettacolo dei gladiatori nell’arena, oggi tutti rampanti e competitivi, sempre più performanti.

Ciò che è dentro di noi lo incontriamo fuori di noi

Io, però, posso sottoscrivere che il campo di battaglia si allontanerà da noi sempre più, sembra impossibile ma funziona proprio così: ciò che è dentro di noi, lo incontriamo fuori di noi. Ecco perché, quando non lo sappiamo, attiriamo a noi quanto di più scomodo. Quando, invece, dentro di te ci guardi e sai cosa trovi, lo fronteggi, lo comprendi, lo accogli, finché smette di ripresentarsi.

Oggi, scendo dal letto e posso osservare me stessa da vicino e da lontano chi combatte una guerra che non è più mia, che non è mai stata mia. Io non la combatto più, guardo gli altri combattere o che mi invitano a farlo, sequenza dopo sequenza, come un fiume sullo sfondo che scorre e, quasi sempre, non vi scivolo dentro… Quasi! E se mi capita mi chiedo: vuoi essere questo o vuoi essere Pace? Tra non molto, forse domani, non scorgerò più neppure il campo di battaglia, perché sarò altrove, sarò esattamente dove desidero essere, dove sono, siamo PACE.

Work in progress, Argonauti!

Riferimenti e approfondimenti

  • Borgini P. Riconoscere e Gestire le Emozioni Scatenanti nella vita di ogni giorno. Ed. Stazione Celeste
  • Mancini G. L’ascolto. Ed. Il Ciliegio
  • Bourbeau L. Ascolta il tuo corpo. Ed. Amrita
  • Panatta A. Istruzioni per maghi erranti. Ed. Spazio Interiore
Valeria Antonelli

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Paola Campanati
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